Commento al Vangelo della 4a domenica del tempo ordinario anno a

Vangelo (Mt 5,1-12)

Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i
suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
“Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra
ricompensa nei cieli”.

L’uomo ha sempre sentito un profondo bisogno di incontrare Dio, di interrogarlo, di conoscere i suoi pensieri, di scoprire i suoi disegni. Ma dove trovarlo? Dove fissare un appuntamento con lui? Nei tempi antichi si pensava che il luogo ideale fossero le cime dei monti, quelle, soprattutto, che la tradizione indicava come luoghi sacri. Anche Israele condivideva questa concezione religiosa. Abramo, Mosè ed Elia hanno fatto le loro esperienze spirituali più forti “sul monte”.
Matteo colloca il primo discorso di Gesù su un monte. La devozione cristiana lo ha identificato con la collina che domina Cafarnao. Le suore che la custodiscono l’hanno trasformata in un’oasi di pace, di raccoglimento, di riflessione, di preghiera. Passeggiando sotto gli alberi maestosi, accolti dal fruscio delle foglie mosse dalla brezza che scende dalle vette innevate del Libano, contemplando dall’alto il lago che tante volte è stato solcato dalla barca di Gesù e dei discepoli, ci si sente quasi naturalmente portati
ad elevare lo sguardo al cielo e il pensiero a Dio.
Per quanto possa essere suggestiva questa esperienza, il monte di cui parla Matteo non va inteso in senso geografico, ma nel suo significato teologico. Più che un luogo reale, “monte” è qualunque luogo o momento in cui ci si apre alla parola di Dio.
Possiamo visualizzare la scena: Gesù abbandona la pianura. È come se uscisse dalla terra dove si muovono gli uomini “nor mali”, quelli che si regolano secondo la “saggezza”, l’astuzia di questo mondo, quella “scaltrezza” maligna che porta a ragionare così: “la salute è tutto”, “ciò che conta è il successo”, “beato chi ha un grosso conto in banca”, “felice chi può viaggiare, divertirsi, chi non si priva di alcun piacere”, “sacrificarmi, fare delle rinunce per gli altri? Non ci penso proprio!”…Sarà un uomo riuscito colui che condivide simili proposte di vita? Cosa ne pensa Dio? Per non correre il rischio di sprecare la nostra esistenza è necessario conoscere il suo giudizio. Oggi accompagniamo Gesù sul monte per ascoltare le sue proposte di felicità, di successo, di beatitudine. Saranno proposte sconcertanti, addirittura insensate per chi ha la mente frastornata dalle proposte suggerite dalla “saggezza” degli uomini. Ascoltiamole e cerchiamo di capirle.
Riporto una riflessione solo sulla prima beatitudine. Se qualcuno è interessato ad approfondirle tutte e otto può sempre chiedere l’intera meditazione.

Quali sono ‘i monti’ della mia vita dove ascolto con serenità la Parola di Dio ?
Cos’è che mi impedisce nelle mie giornate di ‘lasciare la pianura’ per salire sul monte del Signore ?

Beati i poveri in spirito
I primi destinatari della parola di Dio sono proprio i ‘poveri in spirito’, un’espressione biblica per indicare chi ha il cuore, la coscienza, l’intimo suo più profondo ‘povero’. Ma la figura del ‘povero’ della Bibbia ha più volti di quelli suggeriti dalla parola stessa. Il temine originale ebraico (‘anawim’) indica coloro che sono ‘curvi’, cioè gli oppressi in balia dei potenti, le vittime indifese, una folla immensa distribuita in tutti i secoli e in tutte le regioni del nostro pianeta. Eppure questo ritratto del povero è incompleto perché nei profeti ‘anawim’ sono anche i giusti, i miti, gli umili, i fedeli a Dio. Sono appunto i ‘poveri in spirito’ di Matteo.
Così il povero non è soltanto il miserabile, perché si può essere indigenti ed egoisti, aggrappati anche all’unica moneta che si possiede. Il povero in spirito invece è colui che si stacca concretamente ed interiormente dalle cose, è colui che non fonda la sua sicurezza e la sua fiducia sui beni, sul successo, sugli idoli freddi dell’oro e della potenza.
Il suo cuore non è chiuso e indurito ma è aperto a Dio e ai fratelli. Il povero in spirito confida nell’aiuto del Signore, per questo entra nel ‘regno dei cieli’, nel mondo nuovo inaugurato da Cristo.
Poveri “in” spirito e non “di” spirito, come qualche volta si sente dire: Gesù non esalta la condizione di una diminuzione della coscienza o dell’intelligenza, ma quella di chi, nella coscienza che ha di sé, riconosce la propria povertà. La condizione umana della povertà si trasforma in un atteggiamento che rende recettivi del dono di Dio. Non si tratta dell’umiltà che consiste nel farsi piccoli, come la pianta che rimane a livello del suolo, ma dell’umiltà che tutto sopporta con mite pazienza, come la canna che si piega sotto la pressione del vento. È una disponibilità all’accoglienza e alla sottomissione che è verso Dio ma anche verso i fratelli, e si fa ricerca di giustizia, di purezza del cuore, di misericordia e di pace, accoglienza anche della persecuzione. Tutte le beatitudini sono già riassunte nella prima!

Le beatitudini sono il risultato dell’opera del Signore che con la sua grazia, il suo amore, il dono dello Spirito Santo ci cambia.
Vedo nelle Beatitudini l’esaltazione dell’uomo e delle sue fragilità come luogo di crescita umana e cristiana oppure mi spaventano un po’ ?

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