Se nella Chiesa manca il confronto

articolo tratto dal quotidiano ‘La Repubblica’ – 20 Marzo 2023
di Enzo Bianchi

Si vive nella chiesa una situazione paradossale della quale purtroppo non c’è consapevolezza né tra coloro che non ne fanno parte, né tra quelli che la compongono, e magari se ne sentono anche fieri militanti. Oggi, tra i cristiani è attestato molto impegno, soprattutto nelle opere di carità verso i bisognosi, i poveri, i migranti. C’è anche indubbiamente molta attenzione e un giudizio positivo sulla voce di Papa Francesco che appare a tutti capace di una parola chiara e di un annuncio radicale del Vangelo. Ma nello stesso tempo manca una soggettività matura nella vita della chiesa soprattutto in Italia, a differenza che in altri paesi, e lo si constata anche nel cammino sinodale in corso: c’è una certa afonia, un’assenza di dibattito intraecclesiale e di consapevolezza, la mancanza di proposte per il futuro della chiesa. È significativo che ciò che è pervenuto alla Segreteria del Sinodo dalle assemblee diocesane di tutta Italia ripresenti in realtà le proposte già discusse nei decenni precedenti, coniugando l’evangelizzazione con le diverse realtà ecclesiali.
Quando ci si riunisce non si affrontano i temi che appaiono conflittuali, ma che sono i più sentiti e sofferti dal popolo di Dio, si sceglie invece di dare spazio alle “testimonianze”, vere e proprie esibizioni di leader spirituali che incantano ma non convertono nessuno e soprattutto non lasciano spazio al confronto delle idee. Fin dall’inizio del cammino sinodale il Papa e tutti i pastori delle chiese locali hanno enunciato il primato dell’ascolto invitando tutti all’ascolto reciproco, ma senza che si accendesse il dibattito e il confronto intraecclesiale.
Conosco bene la tradizione monastica e i suoi inganni: per mostrare di praticare la sinodalità l’autorità fa parlare tutti, ascolta tutti, ma non lascia spazio al dibattito, spegne ogni confronto sul suo nascere e poi decide come vuole. È un rischio presente in ogni cammino sinodale, soprattutto se nella chiesa manca l’opinione pubblica. Già nel 1950 Pio XII diceva: “Là dove non appare nessuna manifestazione di opinione pubblica, là dove si constata una sua reale inesistenza … occorre vedervi un vizio, una infermità, una malattia della vita sociale. Così anche in seno alla chiesa: essa, corpo vivente, mancherebbe di qualcosa di vitale se l’opinione pubblica mancasse, e questo sarebbe un difetto che ricadrebbe sui pastori e sui fedeli”. Parole da riproporre ancora oggi perché non abbiamo bisogno di voci uniformi, né di adulatori, né di parole che ripetono quelle del Papa, ma innanzitutto di persone che si distinguono per la loro libertà. Quella libertà che tanto fu propugnata dall’apostolo Paolo come necessaria al cristiano, libertà da esercitare, non da mendicare, anche nei confronti dei pastori.
Non basta ascoltare, occorre poi anche discernere, prendere posizione, parlare, opporsi se è necessario, e confrontarsi per giungere a una comunione plurale, una comunione sinfonica. Basta con queste “testimonianze” che la chiesa non conosceva fino a cinquant’anni fa, basta con queste presunte “conversazioni spirituali”, che in realtà vengono richieste per nascondere i conflitti, basta con la paura della libertà. L’Evangelii gaudium di Papa Francesco è estremamente chiara su questo metodo e su questo stile.
Se non compariranno cristiani adulti, maturi, con una soggettività ecclesiale che sappia esprimersi, la chiesa non solo sarà sempre clericale, ma continuerà a essere astenica, incapace di una parola profetica, libera e critica, una parola che non conosca la paura ma solo il primato del Vangelo.Certo non basta parlare, occorre ascoltare, ma non basta neanche ascoltare, perché occorre poi confrontarsi, discutere, per camminare insieme.

3 Replies to “Se nella Chiesa manca il confronto”

  1. Gelsomina Donatelli

    Già. Troppo facile a dirsi che a farsi. Quando ci si scontra con le ipocrisie, nel modo dei farisei, non c’è posto per chi dice verità scomode..

  2. Giancarlo Meu

    È un trattato molto critico che coinvolge tutto il mondo ecclesiastico, propone soluzioni massimali ma all’atto pratico sono importanti soltanto minimi interventi che tengano conto delle realtà locali. La fede è un dono personale e come tale si palesa nelle forme più varie in mancanza di una regola regnerebbe il caos.

  3. Riccardo Pellegrineschi

    E’ necessaria una premessa. I cambiamenti “fisiologici”della società, funzione del trascorrere del tempo, negli ultimi 20 anni hanno subito un’accellerazione iperbolica – mai vista prima – assolutamente imprevedibile ed al di fuori delle logiche finora conosciute.

    Tali variazioni, le cui cause voglio sperare saranno oggetto di studio ed analisi approfonditi negli anni a venire, hanno profondamente inciso con velocità inaspettata sulle dinamiche di cambiamento sociologiche, antropologiche, politiche, economico/finanziarie e culturali.

    Anche noi, come comunità di credenti, ci troviamo ad affrontare problematiche e sfide sempre più nuove e in costante evoluzione, che sfuggono alle catalogazioni finora conosciute ed agli schemi interpretativi consueti.
    Problematiche e sfide che stante le loro peculiarità richiedono un dialogo e confronto continuo, approfondito e libero da preconcetti tra tutti noi, perché è il solo modo per far si che dalla coralità delle idee nascano spunti e idee. Più ampio e variegato è il dibattito in una comunità e più grande è la sua vitalità e quindi la capacità di aprire nuovi orizzonti forieri di possibili insperate soluzioni.

    Non sarà la ricetta risolutiva in assoluto ma, se essa è indispensabile già a livello delle nostre piccole comunità, non vedo come ai vertici della Chiesa ci si possa esimere dal confronto e dall’ascolto e come ci si possa astenere dal prendere una posizione ; l’attendismo non risolve nulla e sperare che arrivi un’ispirazione dal Cielo su “cosa”, “come” e “chi” rappresenti la risposta può solo peggiorare le cose.
    Sono d’accordo quindi con l’analisi di Enzo Bianchi e il giudizio negativo che dà a questa “afonia” che si trasforma in silenzio di proposte, a questo isolamento che rischia di dare un’immagine controproducente non dico di una casta ma quantomeno di una classe sopra le righe, a se stante e lontana dal mondo e dalla gente reale.

    Un atteggiamento che secondo me è inoltre l’esatto contrario del concetto di “Chiesa in movimento” tanto caro a Papa Francesco, perché il “movimento” non è solo spingersi fisicamente verso gli angoli più scomodi e magari oscuri della società ma è anche spingere il pensiero (e quindi l’azione) oltre i limiti e confini noti che magari riteniamo insuperabili. Perché il “conservare” e il “progredire” non vanno d’accordo

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