E’ Domenica (5-04-2020)

DOMENICA DELLE PALME :DIO  NON ABBANDONA IL SUO FEDELE

In prossimità della Pasqua la liturgia invita a riflettere sul mistero centrale della fede e della vita cristiana: sulla passione, morte e risurrezione del Signore. Nel racconto del vangelo di Matteo lo sfondo è dato dal continuo richiamo all’agire di Dio in Gesù, che si potrebbe riassumere in una certezza: Dio non abbandona il suo fedele. Perciò lo stesso mistero della croce è mistero di amore, è dono della vita. Ed è proprio questa certezza che rende convincente la nostra fede: l’amore di Dio, il Padre, non può lasciarci nella morte.
Nella prima lettura, Gesù appare come il “servo di Dio”, profeticamente annunciato, che affronta la passione nella certezza che Dio sta dalla sua parte. Perciò il vangelo di Matteo, narrando la passione di Gesù, mostra un forte interesse alle sue parole, che spesso fanno riferimento a salmi e attraverso le quali egli continua il suo insegnamento e la “consegna” di se stesso nell’eucarestia. Nella stessa luce trova senso, per la seconda lettura, l’umiliazione di Gesù, attraverso la quale egli rivela l’abbassamento di Dio verso di noi.
Per la riflessione – Gesù è il servo di Dio sofferente che non viene abbandonato dal Padre. Ogni uomo assomiglia a Gesù sofferente ma soprattutto assomiglia a Gesù amato dal Padre soprattutto nel momento della prova: guardiamoci intorno e facciamo qualche esempio vicino o lontano.

Commento al Vangelo

La Domenica delle Palme segna il termine del tempo di Quaresima e dà inizio alla Settimana Santa. In questa particolare domenica la liturgia ci ricorda l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e, successivamente, la sua passione e morte. 
Gesù entra nella città di Gerusalemme in maniera umile e mite, a dorso di un’asina, spiazzando coloro che volevano che il Messia fosse un uomo potente e un liberatore dal dominio romano in Palestina. Quello di Gesù, infatti, non è un potere inteso in senso umano, bensì la potenza divina che libera l’uomo dal peccato e dona la salvezza. La folla accoglie Gesù festosamente, agitando rami di palma e di ulivo e stendendo mantelli sulla strada al passaggio del Signore. È una scena che stride con quella della folla che, nel racconto della Passione, chiede la crocifissione di Gesù. La folla si può, quindi, considerare come un unico personaggio, che rappresenta ciascuno di noi. L’opinione dei molti, spesso, ci influenza anche nella nostra vita cristiana, allo stesso modo in cui Pietro, per timore della folla, rinnega di essere discepolo di Gesù. Ognuno deve però saper discernere, alla luce della Parola, quali siano le scelte conformi a Cristo, benché talvolta possano essere impopolari e controcorrente.
Nel lungo racconto della Passione, che oggi ascoltiamo dall’evangelista Matteo, sono molti i personaggi che offrono spunti di riflessione. Innanzitutto Gesù, che durante l’ultima cena istituisce per noi il sacramento dell’Eucaristia, donandoci il suo corpo; che prega il Padre e si affida alla sua volontà; che, pur essendo senza peccato, subisce la Passione a cui è stato ingiustamente condannato fino alla morte in croce. Ci sono poi Giuda, che tradisce Gesù per denaro; Pietro, che vede la sua fede vacillare per timore del giudizio altrui; Pilato, che con indifferenza “si lava le mani” e abbandona Gesù al giudizio della folla; Simone di Cirene, che aiuta Gesù a portare la croce; il centurione, che vedendo i prodigi che si compiono dopo la morte di Gesù, riconosce in Lui il Figlio di Dio. Da tutti questi personaggi possiamo trarre un insegnamento che ci interroghi, in questa ultima settimana che ci separa dalla Pasqua, sul nostro cammino di cristiani.
Per la riflessione – Il racconto della passione di Gesù è fitto di personaggi a cui ognuno di noi assomiglia almeno in alcuni momenti della nostra vita. Ripensiamo a quei personaggi, la passione di Gesù ci spinge alla conversione. Un elenco non esaustivo: la folla, Pietro, Giuda, Pilato, il Cireneo e il centurione.

Parola di Dio della Domenica delle Palme (cliccaci sopra per vedere la Parola del giorno)

ATTUALITA’ – CELEBRARE LA PASQUA IN TEMPO DI CORONAVIRUS

Ci avviciniamo alla Pasqua, e in maniera più forte, in questo tempo di coronavirus, si pone per i credenti e per i non credenti il tema della fragilità personale e collettiva, sociale ed economica, politica e istituzionale. E’ il tema della malattia, della vita e della morte, che tocca e ridefinisce ogni cosa. E’ il tema dell’annuncio del Vangelo in questo tempo. Il tema del nucleo centrale della nostra fede.
Di fronte a un nemico invisibile e presente, impalpabile e certo, che assume il volto possibile di ogni persona, di ogni relazione e rapporto, persino di quelli più intimi e familiari, ci sentiamo improvvisamente indifesi, esposti, smarriti. E’ una fragilità anzitutto personale, come di chi sa di essere esposto in prima persona all’incertezza di una malattia e del proprio destino e poi, immediatamente, legata a quello dei propri cari, degli amici. Finché tutto questo è lasciato alla sfera individuale rimane nella percezione come circoscritto, non scatena una reazione di massa. Ma quando la minaccia è percepita e sperimentata come generalizzata, allora non si può più nascondere la morte. E nel rovescio dell’illusione di chi pretende di possedere il tempo e la propria condizione come duratura emerge la malinconia del suo svanire inarrestabile.
Per noi cristiani il tema del tempo (che dopo l’evento pasquale è figura messianica di contrazione del tempo, l’avvio del tempo ultimo) e dunque il tema della morte è legato al tema della risurrezione: “Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a che cosa mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1Cor 15,32).
E questo tempo inatteso e pericoloso non è un altro tempo. Il tempo messianico non è un altro tempo, ma una trasformazione profonda del tempo cronologico. L’escatologia che annunciamo e crediamo implica una trasformazione delle cose penultime a partire da quelle ultime. Non la loro contrapposizione. Qui, ora è l’esercizio della nostra responsabilità per la vita di tutti. La nostra decisione di rinunciare è in realtà un’offerta. Altrimenti solo l’egoismo personale e sociale segnerà in forma duratura questo passaggio difficile.
Se si chiudono le chiese è per la vita. E per la vita nel suo significato evangelico di dono. Non semplicemente per un provvedimento pur necessario di sanità pubblica. Come la donna di Betania che versa sul capo di Gesù l’unguento profumato, così anche noi dobbiamo “sprecare” l’amore. “Dovunque sarà annunciato questo vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto” (Mt 26,13).
Su un piano personale ed ecclesiale sperimentiamo una forma inedita di solitudine della fede. Certo non poter celebrare l’eucarestia, cioè il centro della nostra fede, non è cosa qualsiasi da argomentare con un semplice e burocratico “in ottemperanza…” (che spingerebbe davvero nel senso di un’accelerazione del processo di scristianizzazione).
Tutto questo non è senza conseguenze, né sul piano individuale, né su quello comunitario, ma non è di per sé neppure una crisi della fede, se è sostenuto da un annuncio forte, argomentato, condiviso da parte della Chiesa.
La chiesa italiana, lo stesso vescovo di Roma sono attesi per una parola che ripeta nuovamente il vangelo in questo tempo; che affronti il mistero della morte e della risurrezione. Perché con questo oggi tutti individualmente e collettivamente, siamo confrontati. Questa è l’attesa, consapevole o meno, di una moltitudine. Siamo entrati in una lunga vigilia, un’interminabile veglia notturna. E’ il Sabato santo della fede, il giorno a-liturgico per eccellenza, un tempo denso di sofferenza, di smarrimento, d’attesa e di speranza che sta tra il dolore della croce e la gioia della Pasqua. Il giorno del silenzio di Dio. La Chiesa deve preparare la Pasqua, perché non potremo celebrare neppure la liturgia pasquale, il centro della nostra fede: il corpo e il sangue di Cristo dato per noi e per tutti.
Ma che cos’è per il cristiano il vigilare se non l’attendere, scrutare nella notte, prestare attenzione al proprio tempo; se non prendersi cura dell’altro, vegliare con amore qualcuno nelle case? In questo tempo abbiamo la possibile consolazione della Parola e della preghiera, da quella personale a quella familiare. Possiamo farla risuonare. In molti modi.
E’ il tabernacolo dei cuori e delle case che in quest’ora viene aperto. Cristo sta alla nostra porta.

Per la riflessione – La Pasqua di quest’anno sarà diversa da tutte le altre che abbiamo vissuto in passato. Che cos’è che ti mancherà di più? Che cos’è che invece non cambierà affatto? In cosa questa Pasqua potrà essere migliore di quelle passate?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Archivi

Categorie

Visite

Visite 2.201

Giorni nell'intervallo 28

Media visite giornaliere 79

Da una qualsiasi SERP 3

IP unici 743

Ultimi 30 minuti 0

Oggi 5

Ieri 23