Non c’è Eucarestia senza popolo

Vi propongo un articolo, in alcune parti pieno di termini per ‘addetti ai lavori’, ma nell’insieme dà spazio a riflessioni. Se avete commenti da fare lasciateli sotto in fondo all’articolo.

Pubblicato su: Vita Pastorale – Marzo 2022
di Enzo Bianchi

SPEGNERE IL CLERICALISMO NELLA LITURGIA

Alla liturgia cristiana sono necessari Dio, cioè il Kýrios creduto e confessato come vivente, e un popolo: un popolo in carne e ossa, un popolo fatto di corpi che sono radunati perché si sentono chiamati in assemblea dal Signore stesso.
Per questo la situazione che oggi viviamo appare critica per la liturgia: innanzitutto perché la fede si è fatta debole, e poi perché, anche a causa della pandemia, il popolo si è assentato dalla liturgia. Una liturgia virtuale non è liturgia cristiana! Come si è potuto dimenticare che la liturgia cristiana è azione-actio della carne e che la “carne del Figlio” è il nucleo incandescente del mistero celebrato? Nelle relazioni d’amore tra esseri umani i corpi non sono accessori, e così nella relazione che è alleanza, comunione, inabitazione reciproca tra Dio e il suo popolo, e tra i membri stessi di questo corpo che è l’“Ecclesia”.
E se ci chiediamo perché abbiamo sopportato questa patologia liturgica, allora forse dobbiamo confessare che le nostre messe trasmesse in video avevano preso il posto di quelle in presenza, alle quali i fedeli “assistevano” come a uno spettacolo. Così oggi registriamo le chiese quasi vuote, la disaffezione dei fedeli alla celebrazione domenicale che vede spesso un’assemblea sfilacciata e le teste quasi tutte bianche.
In modo accelerato abbiamo scoperto ciò che, in realtà, prima della pandemia non volevamo vedere: la diminutio in atto della comunità ecclesiale, perché per molti le liturgie sono diventate irrilevanti, non dicono più nulla, sono afone di parole significative, e per alcuni ormai anche incomprensibili.
Quante volte mi si spezza il cuore quando andando nelle chiese le ritrovo deserte! Chiese che un tempo avevo frequentato partecipando ad assemblee festose tra canti di gioia, mentre oggi… E mi chiedo: ci saranno ancora liturgie qui, in questa nostra terra di antica cristianità? O ci saranno soltanto liturgie domestiche, per piccoli gruppi e comunità – il resto della Chiesa –, che attorno a un tavolo potranno vedere nella fede e gustare il Cristo risorto che spezza loro le Scritture e spezza il pane che è vita? Occorre interrogarsi con audacia sul futuro della liturgia, nonostante questa sia un’ora in cui attorno all’eucaristia si consumano lotte, contestazioni, divisioni e scismi nella stessa Chiesa cattolica. Sembrerebbe che questo non sia il momento opportuno per guardare al futuro della liturgia che è un tema incandescente e divisivo, tuttavia resta necessario per rispondere al bisogno dei credenti che chiedono “pane”, cibo per le loro vite. François Cassingena-Trévedy, monaco benedettino, uno dei migliori esperti di liturgia, non ha dubbi: occorre dalla messa tornare all’eucaristia! Dalla messa, che di fatto oggi è fonte di divisione, all’eucaristia che è il segno dell’unità ecclesiale. Questo movimento urgente è ben riassunto in quei versetti del Tantum ergo, canto che la mia generazione conosce a memoria: «Un così grande sacramento / veneriamo con intensità / e l’antico rito / ceda il posto alla nuova liturgia». Questo il passo che dovevamo e ancora dobbiamo fare: dall’Antico al Nuovo Testamento, dalla religione alla fede, da ciò che non comprendiamo più a ciò che è umanissimo.
Oggi più che mai i cristiani chiedono che la liturgia sia viva di parole, segni, azioni umanissime. Ciò che era straordinario in Gesù era la sua umanità, e nella liturgia devono apparire le sue azioni, le sue parole, incarnazione di lui Logos eterno. L’eucaristia è il gesto testamentario di Gesù, l’azione dello spezzare il pane, la benedizione e il ringraziamento, la condivisione del calice del vino… Questo è l’essenziale che, se capito e assunto, tiene a distanza ogni concezione magica, utilitaristica ed egoista dell’eucaristia. Guai a chi cosifica l’eucaristia, perché l’eucaristia è il Cristo, è noi, è il Cristo e noi suo corpo. Tutte le patologie eucaristiche dell’occidente latino possono essere sintetizzate nel termine “cosificazione”.
Confesso che ho nostalgia di quelle celebrazioni postconciliari nelle quali ci si ritrovava attorno a un tavolo, nella semplicità di parole riscoperte nella tradizione, ispirate anche da una sobria e intelligente creatività, che facevano sentire che l’eucaristia è di Cristo, della Chiesa e dunque anche nostra! Perché l’eucaristia è azione del Signore e della Chiesa, nessuno ne è il padrone ma tutti i partecipanti ne sono i celebranti! Può darsi che allora ci siano state, qua e là, sbavature ed eccessi di protagonismo del celebrante e dell’assemblea, ma questo avviene anche ora da parte di chi segue pedissequamente il Messale come un copione, senza mai chiedersi cosa dice, come lo dice e a chi lo dice!
Tre urgenze per la liturgia
La prima urgenza è, dunque, accogliere una certa pluralità nelle celebrazioni, convinti che questa via è una ricchezza che vivifica ciò che altrimenti rischia di essere ripetuto sempre uguale e di diventare insignificante. E con la pluralità anche una creatività intelligente… E non si dica che oggi quest’ultima trova spazio nella preghiera dei fedeli: occorre ben altro! Nelle assemblee eucaristiche soprattutto delle altre Chiese europee (in Francia, Belgio, Germania…) si compongono orazioni e anche prefazi che sono capolavori di teologia e di spiritualità liturgica!
Ma legata alla prima urgenza c’è la seconda: spegnere il clericalismo nella liturgia. Oggi, quasi in tutte le comunità, sembra che la liturgia eucaristica preveda un attore in presbiterio, dietro l’altare e all’ambone, e il popolo nella navata. Tutto il rito avviene in un faccia a faccia inspiegabile, perché anche quando chi presiede dovrebbe stare, come i fedeli, rivolto verso il Signore (vedi: atto penitenziale e diverse collette) resta invece rivolto verso i fedeli. Lo spazio che si delinea è quello dello spettacolo, vero incitamento al protagonismo clericale dove il presbitero è sempre al centro !
Sì, così come avviene oggi si può solo pensare che sia il presbitero che fa l’eucaristia (annullando il principio che è la Chiesa che fa l’eucaristia, e l’eucaristia fa la Chiesa!), e che lui resta, anche se non lo si dice più, “l’uomo sacro”, che sacrifica sull’altare. Ma se l’eucaristia è azione comune occorrerebbero uomini e donne, anziani e ragazzi, che intervengano nell’azione: diaconi e diaconesse, lettori e lettrici delle sante Scritture, servitori tutti del Signore, non servitori dell’altare! Possibile che nessuno ascolti cosa dicono i ragazzi non praticanti quando capitano per caso a una delle nostre liturgie?
E, infine, la terza urgenza è quella di aprire cantieri di lavoro per l’elaborazione di un’eucologia che sia frutto della fede e dell’inculturazione del Vangelo nella nostra società. Non in vista di una liturgia elaborata da esperti nelle biblioteche o in cenacoli, ma generata da comunità vive in cui tutti i fedeli coltivano la passione di celebrare insieme il Vangelo. Oggi, si impone la necessità di aprire una strada, riaprire cantieri della liturgia perché non si può continuare a ripetere con stanchezza, distacco e scarsa comprensione una serie di espressioni eucologiche di origini medioevali presenti nelle collette, nelle orazioni sui doni e dopo la comunione.
Che senso avrebbero altrimenti le parole di Francesco che a Bratislava invitava alla creatività, aprendo nuovi spazi, creando nuovi alfabeti, sperimentando nuove strade per annunciare la fede? E anche le parole da lui pronunciate all’ Epifania di quest’anno: «Le nostre parole e i nostri riti accendono nel cuore della gente il desiderio di incontrare Dio o sono lingua morta?». Resta certo che se la liturgia non è generata da una comunità credente, e se la comunità credente non riesce a celebrare il Vangelo oggi, allora il futuro della liturgia sarà precario, così come quello della fede.

2 Replies to “Non c’è Eucarestia senza popolo”

  1. Mary Coppolecchia

    Condivido le riflessioni di Enzo Bianchi su quello che la pandemia ha evidenziato nella difficoltà a partecipare all’ eucarestia in presenza ma soprattutto al vuoto generazionale che si registrava da tempo nelle nostre chiese, sempre più frequentate da persone anziane e mature, con la totale assenza di giovani famiglie e giovanissimi.
    Nell’articolo si fa riferimento ad una stanchezza nel rito della messa e a un richiamo alle tre urgenze sulla liturgia; ecco su questo avrei delle riflessioni ulteriori e contrarie .
    La costituzione Sacrosantum Concilium del Vaticano II del 1962 ha rinnovato completamente la liturgia della chiesa che fino ad allora celebrava in lingua latina e non prevedeva la partecipazione dei fedeli.A partire da quella riforma, la chiesa cattolica ha accolto le indicazioni rivoluzionarie e innovative della liturgia sebbene con il vincolo di rimanere nella struttura delle orazioni e dei prefazi della Santa chiesa di Roma.( nelle chiese europee Francia , Belgio, Germania si eccede un po’).
    L’assemblea domenicale non è un” incitamento al protagonismo clericale” perché nella riforma si è capovolto il principio per cui era solo il celebrante che faceva la messa è il popolo la subiva guardava solo le sue spalle.
    Invece l’eucarestia è diventata come un cenacolo, dove al centro dell’ assemblea c’è la mensa, cioè l’altare, e il popolo e il sacerdote sono intorno . Nella Sacorsantum Concilium si definiscono le fasi teologiche della liturgia che è innanzi tutto un rito in cui è lo Spirito del Padre che discende su tutti i partecipanti per mezzo delle mani consacrate del sacerdote e rende il pane e il vino corpo e sangue del Signore. È un mistero che si svela davanti a noi , lo diciamo subito dopo la consacrazione, ma è per mezzo della fede che vediamo la trasformazione. Solo in un secondo momento sempre per opera del sacerdote ma anche dei fedeli avviene il movimento che da noi sale verso il Padre: la preghiera dei fedeli, la conclusione della preghiera eucaristica. Quindi non è il solo sacerdote protagonista della liturgia ma lo siamo tutti insieme.E le espressioni eucologiche non sono di origine medievale perché rinnovate continuamente dalla liturgia postconciliare.
    Ma se la seconda parte della messa è il memoriale del sacrificio , la prima parte è occupata interamente dalla liturgia della Parola. Su questo c’è bisogno, come dice padre Bianchi, di” aprire cantieri per un’ inculturazione del Vangelo nella nostra società”.
    In conclusione penso che se le nostre messe sono deserte non è la liturgia che va ripensata ma va ricercato con discernimento il disegno di Dio sulla nostra comunità, perché non dobbiamo dimenticare le sue parole” non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi.”( Gv. 15, 9-17).

  2. Riccardo

    Indubbiamente l’articolo di Enzo Bianchi é rivolto a chi ha la possibilità e la funzione di indicare le linee guida per il rinnovamento invocato dall’autore, può essere di non facile lettura- stante la presenza di termini molto “dedicati” – ma indubbiamente non può non fare riflettere.
    E da credente che da pochi anni si é riavvicinato alla fede ed alla Chiesa, vorrei portare il mio contributo, contributo di chi non ha nè una profonda conoscenza teologica nè é sufficientemente acculturato riguardo le innovazioni introdotte dagli ultimi Concilii ed encicliche, e quindi é abbastanza terra terra.
    Secondo me il punto di partenza é il tipo di vita consumistica nel quale ci troviamo a vivere e a crescere i nostri figli ; nessun stupore che questi ultimi assumano il materialismo come valore guida, pensando ed autoconvincendosi – stante anche la latitanza della famglia genitoriale – che é sufficiente avere anziché essere, che è meglio urlare che ascoltare e che é più “figo” sopraffare anziche confrontarsi e dialogare.
    Logico che in tale ambito la comunità della Chiesa, con la sua coralità e comunanza di persone differenti, diventi un ostacolo ad uno stile di vita nel quale il denaro é l’unico mezzo per arrivare alla felicità e che, soprattutto, il messaggio di Cristo sia scomodo, impegnativo e al di fuori dei canoni prescritti dai massmedia.
    Secondo me il punto principale é l’indiferenza verso Dio a la convinzione che non è necessario avere bisogno di Dio e del messaggio di amore fratellanza ; su questo non indifferente punto occorre lavorare per affrontare il dificilissimo compito di indicare come superare questo vuoto.
    Quanto agli “attori” che Bianchi menziona non sono d’accordo, se la Messa è momento di vita comune e condivisione é giusto che chi officia sia rivolto verso di noi : stante la mia non verde età ho fatto a tempo a vedere il vecchio rito, con il sacerdote rivolto sempre verso l’altare che sembrava pronunciare formule magiche in una (allora) lingua sconosciuta. E sinceramente non sento il bisogno di ritornare a quei tempi e non ne vedo l’utilità.

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