Meditazione sul Giovedì Santo

MEDITAZIONE

L’evangelista Giovanni non racconta, come gli altri evangelisti, lo svolgersi dell’ultima cena, lo spezzare il pane e il passare il calice del vino, con le parole della consacrazione. Del resto aveva già parlato a lungo dell’Eucaristia, dopo che aveva moltiplicato i pani e aveva affermato: “Io sono il pane disceso dl cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv6,51).
Ora Giovanni dice solo che “durante la cena… si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto” (Gv13, 2-5).
Quella sera, nel cenacolo, sono accadute molte cose tra Gesù e i suoi. Voglio soffermarmi in particolare su alcuni gesti.

Si alzò da tavola.
L’eucaristia non sopporta la sedentarietà. Ci obbliga ad abbandonare la mensa. “Andate in Pace”, con queste parole si conclude sempre la celebrazione. Andate… E’ quella che papa Francesco chiama “la chiesa in uscita”, verso le periferie del mondo.
Ci spinge a lasciare le nostre cadenze troppo statiche ,abitudinarie, per spingerci verso gesti dinamici, missionari, solidali.
Se non ci si alza da tavola, l’eucaristia rimane un sacramento incompiuto.
Ma “si alzò da tavola” significa anche che gli altri due verbi “depose le vesti” e “si cinse i fianchi con l’asciugatoio” hanno valenza di salvezza soltanto se partono dall’eucaristia.
Se prima non si è stati “a tavola”, anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, diventa filantropia, che non ha nulla a vedere con la carità.
Per noi credenti, ogni battaglia per la giustizia, ogni lotta a favore dei poveri, ogni sforzo di liberazione, devono partire dalla “tavola”, dalla familiarità con Gesù, dall’aver bevuto al suo calice… da un’intera vita di preghiera, insomma.

Depose le vesti
Chi sta alla tavola dell’eucarestia deve “deporre le vesti”. Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità del servizio e della comunione. Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza.
“Deporre le vesti”, per il vangelo di Giovanni significa “offrire la vita”, Gesù si spoglia della propria vita per donarla all’uomo. Prima di essere crocifisso, Gesù viene spogliato delle sue vesti.
Abbandonare i segni del potere per conservare il potere dei segni.

Si cinse un asciugamano
Don Tonino Bello trasse da questo gesto l’ immagine della “Chiesa del grembiule”. Papa Francesco ha paragonato la Chiesa ad un “ospedale da campo”. L’immagine della Chiesa con quel cencio ai fianchi, quel catino nella destra e la brocca nella sinistra, con quell’atteggiamento da serva, per molti sembra declassarla, ridurla di dignità e di divinità.
Gesù si cinge l’asciugatoio ai fianchi, cioè avvolge tutta la persona con la logica del servizio. Gesù non è un servo part time, non fa servizio a ore, tutta la sua persona è servizio, il suo nome è “Servo del Signore”. Il suo è un servizio permanente, tant’è vero che quando riprende le vesti non viene detto che si toglie il grembiule.

Cominciò a lavare i piedi dei discepoli
Nella cultura ebraica era compito dello schiavo stare alla porta e lavare i piedi degli ospiti che arrivavano dopo un viaggio con i piedi impolverati e fangosi.
Era un rito di purificazione e di ospitalità. Lo doveva compiere lo schiavo, un uomo che nella classifica sociale valeva “zero”. Possiamo immaginare la scena: stendevano i piedi sporchi, lui li lavava e asciugava, nessuno sguardo o parola di gratitudine erano dovuti allo schiavo. Questo spiega la reazione contrariata di Pietro: “Signore tu lavi i piedi a me?… Non mi laverai i piedi in eterno”.. Pietro resiste al gesto che vedrebbe Gesù fare la parte dello schiavo, ma poi viene convinto dalle parole del Maestro : “Se non ti laverò non avrai parte con me”. Allora cede e si lascia lavare i piedi, perché “avere parte” con Gesù, cioè essere in comunione con lui, è importante.
Ma qual è il significato del gesto di lavare i piedi? Perché Gesù lo compie? E perché proprio i piedi?
Perché i piedi rappresentano il luogo in cui gli uomini vengono feriti. Ricordate Achille, che aveva il suo punto vulnerabile nel piede e durante la guerra di Troia, colpito al tallone, morì dissanguato. La Bibbia stessa dice che il serpente insidierà il calcagno di Eva.
Il piede, permettendoci il contatto con la terra, ci fa stare in piedi, e ”stare in piedi” è decisivo per l’uomo, significa la sua dignità e libertà. Se stai in piedi sei libero di muoverti e di realizzare i tuoi scopi. . Il contrario della verticale è la posizione orizzontale, quella dei morti.
Dio lava i nostri piedi perché li vuole purificare, perché ci vuole rimettere in piedi. All’inizio Pietro non ci sta, perché lui sta in piedi da solo, non crolla mai, ha in se stesso la forza di essere libero.
Lavare i piedi ai discepoli vuol dire alzarli, farli risorgere. E l’uomo sta in piedi quando serve.
Gesù vuole metterci in piedi, perché abbiamo parte con Lui. Stendiamo i nostri piedi davanti a Gesù che passa per lavarli; lasciamoci lavare dalle sporcizie, lasciamoci amare, salvare, redimere da Gesù.
Lasciarsi amare è più difficile che amare. E’ il virus di Pietro che pensa di essere autosufficiente , di farcela da solo e per questo respinge il servizio di Gesù.
Lasciarsi lavare i piedi da Gesù, lasciarsi servire da lui. E’ il primo atto, ma non è tutto. Gesù li asciuga anche i piedi; li avvolge nell’asciugatoio che è simbolo del servizio. L’asciugatoio passa dai suoi fianchi ai nostri piedi. Dalla persona di Gesù passano a noi la mentalità e il potere del servizio. Gesù ci coinvolge nel suo gesto.
La chiesa è chiamata non solo a servire l’uomo facendogli fare l’esperienza che è amato, lavato, redento, ma anche è chiamata a servire. Il gesto di Gesù- servo che assume i panni del lavandaio dei peccatori e si fa inchiodare per sfamare i carnefici con il suo corpo è la vera rivoluzione del Dio cristiano: “il Figlio dell’uomo, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28).
La mentalità di Gesù-Servo è la forza che può rinnovare il mondo.

Non voglio però non considerare il gesto che Giovanni non narra: il pane spezzato e condiviso.
Nelle sue mani Gesù prende i nostri piedi, e prima aveva deposto nelle nostre mani, come fossero un trono regale, il suo corpo.
La vocazione dell’uomo è far diventare parlante il corpo, trasformare un ammasso biologico in un volto che parla, sorride, abbraccia, vive lo sguardo, l’ammirazione, il canto e l’incanto dei sentimenti, che nascono quando ci si trova in presenza dell’altro. Quel corpo che Gesù depone nelle nostre mani è un corpo spezzato, offerto, condiviso. E’ un corpo che parla dell’eterno amore di Dio. Questo corpo eucaristico noi lo chiamiamo “comunione”: bellissima parola che dice tutto perché quel corpo è in grado di nutrire il tuo corpo dell’amore di Dio e trasformarlo da corpo che vuol possedere per soddisfarsi a corpo che si lascia spezzare per nutrire la vita di altri.
Acqua per i piedi, perché Gesù vuole metterti in piedi, pronto per la lotta. Pane sulle mani, perché Gesù vuole trasformarti in un essere di comunione. Ecco il mistero del Giovedì Santo.

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