Attualità (6-09-2015)

IL CONCILIO E PAPA FRANCESCO (prima parte)

Francesco è il primo papa che non ha vissuto personalmente il Concilio, ma è quello che lo sta interpretando e mettendolo in pratica con la maggiore fedeltà.
Indicendo quel grande evento di rinnovamento, o meglio, di “aggiornamento” della chiesa, Giovanni XXIII affermava: “Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale, e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana, e non solamente quelli della chiesa cattolica. Non è il vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a conoscerlo meglio. E’ giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di coglierne l’opportunità e di guardare lontano”.
Il Concilio, anche se non lo si vuole riconoscere, ha aperto un nuovo capitolo nella storia della chiesa, investendo tradizioni, dottrine, istituzioni plurisecolari. Soprattutto ha riconosciuto valori terrestri ed umani del regno nella grande realtà umana (i “semi del Verbo”) che hanno portato ad una svolta radicale nella impostazione della evangelizzazione e della salvezza.
Giovanni XXIII ha avviato un processo di riconciliazione tra la chiesa e il mondo pieno di speranza e, ormai, irreversibile. La chiesa, da “società perfetta dei veri cristiani”, come ci insegnavano i vecchi catechismi, si è rivelata come una comunione di uomini riuniti nella solidarietà, nella giustizia e nella pace. Il “regno di Dio” è già in corso e vi operano quanti sono impegnati nel progresso del mondo e nella promozione e liberazione dell’uomo.
Significativamente l’ultima enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”, non è indirizzata, come avveniva precedentemente solo ai pastori o ai membri della chiesa, ma a tutti gli uomini, accomunati da una stessa preoccupazione e da una medesima responsabilità di fronte al mondo in cui viviamo.
Il Concilio ha avviato un movimento che molti hanno avvertito promettente, consolante, ma che ha incontrato e incontra tuttora anche freni e opposizioni, sia negli alti vertici della chiesa, sia nel modo concreto di vivere la fede dei singoli cristiani e nelle comunità. Parte della chiesa ha cercato e cerca ancora di affermare il verticalismo in antitesi all’immagine di “popolo di Dio”, il teocentrismo che relega l’uomo in una posizione secondaria e passiva, un concetto di salvezza che rinvia tuto alla fine dei tempi e non ne cerca e propone la realizzazione nel tempo e nella realtà presente. Una chiesa che si mette al di sopra degli uomini, delle nazioni e di popoli per dettar leggi, lanciare anatemi e scomuniche, allontanando gli uomini, invece di avvicinarli. Nell’incapacità a dialogare con la storia, la chiesa ha cercato di circoscrivere la propria azione nella sfera del sacro, del culto, dei riti, delle devozioni e delle tradizioni. Se il discorso della salvezza non abbraccia tutta la realtà umana, rimane ambiguo, falso, e, perciò poco attraente e rifiutato dagli uomini. (La seconda parte sul foglio della prossima settimana)

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