Attualità (17-03-2013)

LEGGI E LEGGI

Un alto  dirigente di un comune ha deliberato di  aumentarsi lo stipendio. L’opposizione ha protestato. Il sindaco ha risposto con determinazione che era nel potere del dirigente deliberare l’aumento, lo ha fatto con il suo accordo e nel pieno rispetto della legge che stabilisce il compenso del dirigente in base alle deleghe e agli incarichi che gli sono affidati.  E così un dirigente già pagato lautamente, si è, “legalmente” aumentato  lo stipendio.  Così succede in comuni ed enti pubblici del nostro Paese. Funzionari  e amministratori pubblici conoscono molto bene le leggi che li riguardano e sono molto solleciti  ad applicarle quando sono a loro vantaggio. E tutto questo in barba alla crisi, alla disoccupazione galoppante, alla difficoltà dei giovani a trovare lavoro, alla impossibilità  di un numero crescente di famiglie ad arrivare in fondo al mese, ai tagli ai servizi scolastici,  sanitari e sociali che sono gli stessi dirigenti e amministratori a decidere. Tutto nel pieno rispetto della legge!
Si tratta, evidentemente, di leggi  fatte ad uso e consumo di chi le ha disposte e dei  suo amici e clienti, di leggi che mancano perfino di quella comune e normale  qualità che è il “buon senso”.
Una grande Legge, oggi troppo spesso  messa in discussione, proclama che: “L’Italia è  una Repubblica fondata sul lavoro”; che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo… e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”; e che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge… E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale… che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”  (Costituzione Italiana, artt. 1, 2 e 3).
Come sarebbe bello sentire un sindaco e una giunta che prendono posizioni coraggiose per i poveri e gli esclusi e cercano di attuare progetti a loro favore, invece di  dire sempre che non ci sono risorse, quando, invece, è evidente che le risorse ci sono, ma solo per qualche privilegiato.
Si tutelano pubblicamente e solennemente i diritti dei già tutelati e dei ricchi, e si abbandonano e se stessi i più deboli e fragili. Ma questo  non è né nello  spirito, né nelle parole della Costituzione, che è legge per tutti i cittadini, ed in particolare per coloro che governano le istituzioni a livello centrale e locale. Con tanta facilità  si trovano cavilli giuridici per promuovere le posizioni dei ricchi e dei potenti, e quando si tratta di promuovere e attuare i diritti dei poveri e degli ultimi si tace e si trovano  mille scuse per giustificare assenze e inadempienze.
Due pesi e due misure che Giovanni Paolo II° chiamava “strutture di peccato” (“Sollicitudo rei socialis”), su cui le comunità cristiane dovrebbero vigilare proprio come impegno di fede. Invece spesso gli  stessi cristiani praticanti se ne fanno sostenitori. Da questa connivenza, attiva o passiva, con l’ingiustizia non ci salva neanche la pratica religiosa: “Misericordia io voglio, e non sacrifici” (Os 6,6 e Mt 9,13).

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