Attualità (13-08-2017)

PER UNA CHIESA  ALL’ALTEZZA DEI TEMPI

Le reazioni un po’ scomposte alla decisione di ridurre il numero delle messe nella nostra Comunità Pastorale, suggeriscono alcune riflessioni sulla chiesa e sull’essere cristiani.
Eviteremo di proposito il riferimento diretto a quanto scritto sulla stampa e sui social, per non alimentare le polemiche.
Se, come dice Papa Francesco, il mondo sta vivendo non un’epoca di cambiamento, ma un “cambiamento d’epoca”, tutti i credenti sono portati ad interrogarsi sulla forma che la chiesa deve darsi, per essere all’altezza della sua missione, in un’epoca diversa da quelle del passato, e non si può solo lamentarsi per i cambiamenti.
Occorre interrogarsi su qual è la volontà di Dio sull’essere e sull’operare della Chiesa oggi, sia dal punto di vista del singolo cristiano, sia dal punto di vista delle comunità ecclesiali e della forma vitale, sempre nuova, che la Chiesa è chiamata a darsi per affrontare i nuovi compiti che la prospettiva del futuro le impone. Non si può solo guardare al passato e diffidare di ogni novità, ma dobbiamo anche pensare cosa è migliore, per la chiesa, in ordine al futuro.
Solo l’ascolto della parola di Dio può fornire alla Chiesa il criterio fondamentale per muoversi nella storia e nel tempo. Il Concilio Ecumenico Vaticano secondo ha affermato l’imperativo del ritorno al Vangelo, che è sempre necessario riscoprire e purificare dalle scorie che lungo i tempi vi si sono sovrapposte.
Oltre al riferimento alla Parola di Dio, la chiesa ha bisogno, per compiere bene la sua missione, di implorare lo Spirito santo e percepirne il soffio che la conduce a scrutare “i segni dei tempi” nella impressionante rapidità della loro evoluzione. Dobbiamo dirci la verità: l’ascolto della parola di Dio e l’attenzione ai segni dei tempi non caratterizzano proprio la fede di tanti credenti!
Il Concilio ha aperto la via di una riforma della Chiesa, imprimendo una svolta alla sua autocoscienza: “Chiesa, cosa dici di te stessa?”. E’ questa la domanda che ci invita continuamente a porci.
Il Concilio vede la Chiesa non già come il Regno di Dio sulla terra al punto che il suo magistero deve essere riconosciuto da tutti, perché “maestra e guida di tutte le altre società”, ma, più modestamente come un “segno” e uno strumento a servizio del mondo, per il suo cammino verso il Regno e un aiuto all’umanità intera per la sua crescita verso “l’unità di tutto il genere umano”.
Così il Concilio ha aperto alla Chiesa la prospettiva di un nuovo modo di pensarsi: non più in una forma autoreferenziale, ma come una comunità di credenti in Cristo per sua natura estroversa, rivolta, cioè, all’esterno. Essa infatti ricava il senso stesso della sua esistenza non solo dalla necessità di essere curata (“pettinata” direbbe Papa Francesco) ma dalla missione, al servizio di tutti gli uomini del mondo, a cui il Cristo l’ha destinata.
Per Papa Francesco la “riforma delle strutture che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita e favorisca così a risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia”.

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