Attualità (10-11-2013)

LA RETORICA DEL 4 NOVEMBRE

Lunedì 4 novembre era la festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. In varie città, grandi e piccole, si sono svolte delle manifestazioni, portando corone di alloro ai monumenti ai caduti e facendo commemorazioni e discorsi.
Ho partecipato ad una di queste. C’era poca gente: la fanfara degli Alpini, pochi soldati in congedo (da tempo!) una classe di bambini delle elementari che sventolavano gioiosi bandierine tricolori. Alcuni di loro, guidati dalle maestre, hanno letto una bella poesia di Giuseppe Ungaretti.
Le autorità “civili e militari” in pompa magna.
Sono d’accordo che si facciano queste manifestazioni, ma si dovrebbe curare di più la partecipazione, e questo è possibile se si valorizza la narrazione degli eventi e gli aspetti pedagogici. Dubito che i bambini presenti fossero a conoscenza degli eventi che si celebravano: Io stesso nei miei anni di studio non sono mai arrivato a studiare la prima guerra mondiale.
L’oratore nel suo breve discorso, pieno di retorica, non ha badato a questi aspetti: ha lodato la partecipazione dei presenti. Mi ha colpito un riferimento all’importanza del “servire la patria”.
Servire la patria è un valore, ma quali sono oggi le opportunità che si offrono ai giovani per servire la patria?
Fino a qualche anno fa il servizio militare di leva per i maschi era una opportunità, come lo è stato dal 1972, anno dell’approvazione della legge, il servizio civile, per i giovani che si proclamavano obiettori di coscienza e si impegnavano ultimamente per un uguale periodo, ma in precedenza per un tempo più lungo del servizio militare in opere di assistenza, di tutela dell’ambiente e dei beni culturali, ecc. Anche questo era un “servizio alla patria”. Migliaia di giovani, attraverso questa esperienza, oltre a svolgere un servizio al bene comune, hanno maturato una coscienza, una cultura, degli stili di vita, delle scelte professionali e vocazionali cariche di valori che hanno portato nella loro vita e che hanno arricchito la comunità (patria) nel suo insieme..
Da qualche anno si è chiuso il servizio militare obbligatorio e con esso anche il servizio civile degli obiettori di coscienza. Si è fatta una legge sul “servizio civile volontario”, aperto a tutti i giovani, maschi e femmine, abili e non. Poteva essere una opportunità per avvicinare i giovani alle istituzioni, ai servizi ai cittadini, alla cultura della responsabilità e della solidarietà…
Le domande erano numerose, e si è dovuto ricorrere alle selezioni che si sono fatte sempre più strette, perché le risorse messe a disposizione erano sempre più esigue, mentre le spese per gli armamenti non subivano tagli.
In alcuni paesi del nord Europa si danno 500 euro al mese ad ogni giovane in attesa di occupazione come contributo di assistenza. Da noi avremmo potuto darlo in cambio di servizi alla comunità e ai poveri, e di un’esperienza di formazione morale e civile, ma non si è voluto capire l’alto valore pedagogico di questo “servizio alla patria”.
Si è preferito il servizio di politici e militari di carriera (“volontari”!), manager di stato, dirigenti e consulenti con altissimi stipendi, liquidazioni e pensioni, pensando, evidentemente, che il loro “servizio” (!) fosse più utile di quello a così basso costo di migliaia e migliaia di giovani che, attraverso il servizio civile volontario, si sarebbero formati a diventare “cittadini”.

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